Stefania Valli racconta

Ancora una volta Francesca mi ha sorpreso. L’ho conosciuta circa due anni fa e da allora la vedo a scuola quasi quotidianamente, lavoro accanto a lei, la assisto nelle sue comunicazioni e nella sua partecipazione ai vari momenti della vita scolastica.
Ho imparato così a scoprire un po’ alla volta le sue sorprendenti capacità di intuizione e di riflessione, la sua ricchezza interiore, la sua sensibilità ed empatia, il suo desiderio di entrare in relazione con gli altri.
E ogni scoperta è stata tanto più inattesa e significativa, quanto più contrastava con le sensazioni provate dopo un primo e superficiale contatto con lei. In effetti, la presenza di suoni e gesti scomposti, lo sguardo spesso apparentemente assente e deconcentrato, la produzione ripetitiva e involontaria di parole incoerenti (manifestazioni tipiche della sua patologia) sembravano inizialmente rappresentare una barriera verso ogni forma di comunicazione diretta e ostacolavano una adeguata comprensione dei pensieri di Francesca e delle sue reali potenzialità.  Un po’ alla volta, però, stando accanto a lei con continuità e, soprattutto, leggendo e analizzando le sue frasi, i suoi elaborati, le sue varie produzioni scritte, ho cominciato ad intuire e ad apprezzare la sua intelligenza, la profondità e la consapevolezza delle sue riflessioni, la lucidità dei suoi ragionamenti, il suo amore per la conoscenza, oltre alla forza e alla determinazione con cui affronta i suoi impegni.
Credevo quindi di conoscere ormai piuttosto bene Francesca e di sapere cosa potevo aspettarmi da lei; eppure è tornata ancora a stupirmi: e questa volta l’ha fatto con le sue poesie.
Ne avevo letta qualcuna di sfuggita poco dopo i nostri primi incontri, ma evidentemente non le avevo prestato la necessaria attenzione o, forse, non possedevo ancora alcune “chiavi” interpretative che mi hanno permesso ora tanto di accogliere con particolare favore l’efficacia di alcune soluzioni espressive, adottate, peraltro, abbastanza inconsapevolmente (cioè, senza alcuna specifica formazione letteraria) da Francesca, quanto di trarre dalle stesse poesie (o, almeno, da alcune di esse) nuovi elementi di riflessione su di lei, sulle sue emozioni, sul suo rapporto con la vita e con la malattia.
Non è questa la sede per fermarsi ad analizzare i singoli testi, i loro significati e le forme in cui sono stati espressi, ma mi sembra si possano proporre alcune brevi osservazioni sparse e non sistematiche.
Innanzitutto, può essere interessante individuare alcuni termini e concetti ricorrenti; in particolare,  mi ha colpito la frequenza con cui Francesca esprime un desiderio di quiete, come sospensione, almeno momentanea, dell’agitazione e del tormento, della tensione fisica e del turbine di emozioni e sentimenti che caratterizzano le sue giornate. Emblematica, in questo senso, mi sembra la poesia il nostro mondo: all’eterno ruotare (“gira”) della terra intorno al sole si contrappone inizialmente la precarietà del proprio destino personale (caratterizzato dall’attesa del “suo prossimo tramonto”); eppure, la lucida consapevolezza di tale destino non è fonte di angoscia: al contrario, nei tre versi finali, un crescente desiderio di quiete è giustificato ancora una volta dal vortice di sensazioni ed emozioni cui allude il verbo Gira, ripreso efficacemente all’inizio del secondo periodo.
Significativa anche la poesia intitolata La quiete, forse meno riuscita sul piano delle scelte espressive, ma interessante, perché al tentativo di affrontare questo tema in termini di “pace e amore per l’umanità”, uscendo dalla propria esperienza individuale e rivolgendosi ad un interlocutore, si contrappone l’appello accorato del secondo verso (restituitemi il mio tempo), in cui Francesca sembra, suo malgrado, non aver potuto soffocare un grido tutto interiore, fortemente legato al proprio vissuto personale.
Mi sembra, cioè, che nel complesso i testi in cui vengono affrontati questi temi aiutino a comprendere quali siano, al di là della carica di entusiasmo e di amore per la vita che Francesca riesce normalmente a comunicare a chi le sta accanto, l’entità degli sforzi da lei compiuti quotidianamente per tenere sotto controllo uno stato di fortissima agitazione, la fatica con cui si impegna a contenere le manifestazioni più violente del proprio disagio fisico e neurologico e la lucida consapevolezza che tali sforzi non saranno comunque mai sufficienti a garantirle un approdo di reale tranquillità. Non a caso, nella poesia Sogno si chiarisce come la quiete non possa rappresentare per lei una condizione realmente vissuta, ma trovi spazio soltanto nella dimensione del sogno e del desiderio non realizzato.
E’ interessante notare, inoltre, che la quiete non coincide affatto con il silenzio: anzi, laddove la prima si identifica con la pace interiore e costituisce un provvidenziale, per quanto irraggiungibile, momento di tregua, il secondo rappresenta la negatività assoluta, è il nemico da fuggire perché ricorda continuamente a chi non può parlare il proprio destino di impotenza e di vuoto (si veda la poesia intitolata, appunto, Silenzio).
E ancora, a ribadire il tormento della propria esistenza, nell’unica poesia consapevolmente “leopardiana” (tra tante che, a mio parere, lo sono inconsapevolmente), “Naufragar nell’infinitocon l’immaginazione, Francesca avverte che persino le speranze le sono precluse, mentre altrove afferma efficacemente: Nulla ti penetra nell’anima / con tanta violenza / come il desiderio / di speranza.
Vi sono poesie in cui si esprime un atteggiamento più sereno, in qualche caso addirittura gioioso, generalmente scaturito dalla contemplazione di paesaggi o di immagini, reali o fantastici, caratterizzati dalla quiete e, spesso, dall’armonia o dall’indeterminatezza delle forme, dei colori, dei suoni: mi sembra significativo che non siano tanto le sensazioni forti a dare gioia a Francesca (impegnata costantemente a lottare per tenere a bada le manifestazioni più violente), quanto soprattutto quelle più tenui e delicate: un mare che scolora, la luce tenue della luna, la sabbia umida, un soffio leggero di vento…
A mio parere, comunque, alcune delle poesie più riuscite sono quelle caratterizzate da un atteggiamento più tormentato e sofferto, nelle quali la violenza delle emozioni, dei contrasti e del tormento interiore suggeriscono spesso a Francesca accostamenti di immagini e parole inediti e particolarmente significativi: si pensi a soluzioni espressive quali Resta molto poeta annerito / dal dolore chi soffre / in fondo al cuore o Tempesta / un’attesa protratta del sereno, che colpiscono, credo, ogni lettore, spingendolo a riflettere e ad interrogarsi.